La tempestività di comunicazione su cui si fondano i social network
e le chat sono terreno fertile per le fake news. Secondo uno studio
americano, è proprio la natura di queste piattaforme a deviare la nostra
attenzione da fattori importanti quali la veridicità e l’accuratezza della
notizia. E così, anche se non si vuole scientemente alimentare la
disinformazione, si inciampa e si condivide. “Assumere un atteggiamento
critico e scettico nei confronti di un qualsiasi contenuto della
comunicazione sarebbe l’atteggiamento più corretto da seguire. Ma questo
modo di procedere ha un costo, non solo in termini di tempo, perché bisogna
fare delle ricerche e delle verifiche, ma anche psicologico, perché bisogna
mettersi in discussione nei confronti di un tema. In molte situazioni
troviamo più semplice crederci e basta, perché risulta più economico da un
punto di vista cognitivo”
Bufale ed epidemie, un legame pericoloso Secondo uno studio inglese la
disinformazione sulla salute può esacerbare i focolai delle malattie
infettive aumentando i comportamenti a rischio. Oggi la battaglia contro le
fake news sul Coronavirus è ancora più dura, perché la verità definitiva
non è in mano neanche agli esperti. “Siamo di fronte a un fenomeno nuovo,
che anche gli scienziati conoscono poco. E così le soluzioni semplici, o
meglio semplicistiche, a problemi complessi rappresentano un conforto per
le persone. Nei momenti di crisi e incertezza entra in gioco un forte
aspetto emotivo e non c’è terreno più fertile per la proliferazione delle
fake”.
E QUINDI LE VERITA’ QUALI SONO
Assumendo una distribuzione di gravità della malattia sovrapponibile a
quella della coorte cinese si può ipotizzare che *in Italia la parte
sommersa dell’iceberg contenga oltre 70.000 casi lievi/asintomatic*i”
tuttora “non identificati”. Infatti, spalmando l’epidemia anche
sull’ipotizzata platea di positivi non ancora emersi, la casistica italiana
“si ricomporrebbe” con matematica giustizia riallineandosi alle percentuali
cinesi. “La recente impennata dei casi in Spagna, Francia, Germania,
<www.quotidiano.net/esteri/coronavirus-francia-usa-1.5071342>
dimostra che la battaglia è analoga a quella italiana, con ritardo di 7-9
giorni”. Eppure, nonostante tutti i paesi europei abbiano avuto “la
possibilità di giocare d’anticipo avendo visto il film italiano”, hanno al
contrario “perseguito politiche attendiste”.
La rituale domanda *”quando finirà l’epidemia?”* è pertanto destinata a
restare tale, “perché la validità dei modelli predittivi è influenzata da
due fattori inprevedibili: la diffusione asincrona del Coronavirus e
l’assenza di un piano pandemico unico in Europa”. Concorrono poi a
complicare le stime sia l’impatto degli inevitabili “casi di rientro» in
tutte le aree nazionali sotto stress, sia la differente efficacia delle
azioni di contenimento e contrasto del virus nei vari Paesi. «Le
conseguenze di questo approccio frammentato sono piuttosto prevedibili”.
Persino sul piano politico, “perché sarà molto più difficile predisporre
misure straordinarie per fronteggiare la recessione economica se i Paesi
del G7 e del G20 si troveranno disallineati nella gestione dell’epidemia e
delle sue conseguenze sui mercati finanziari”.
“Nonostante alcuni evitabili ritardi *l’Italia è sulla giusta strada* per
contrastare l’avanzata del Coronavirus. Adesso spetta a noi tutti fare i
necessari sacrifici individuali per contribuire alla tutela della salute e
alla tenuta del nostro insostituibile Servizio sanitario nazionale”.
Servirà pazienza in pillole, perché la letalità del Covid-19 sarà forse
meno spietata di quanto appaia a una sommaria lettura, ma “i tempi” per
uscire dalla morsa “non saranno affatto brevi”.